Verona, 27 aprile.
Ore 14. Quattro sono i pullman neri parcheggiati fuori dell’Arena. Bob sarà già arrivato? Sembra di no! La band è già dentro all’Arena per un line check con quasi 30 gradi. Il boato di una strumentale Ballad Of A Thin Man infinita esce e disperde nella città di Romeo e Giuletta. Il tempo di mangiare una pizza e bere una birra tra Piazza Bra e Piazza delle Erbe, di beccare per un fugace incontro Toby Jones (anch’egli per il concerto) più grottesco che al cinema su Tale of Tales, mentre beve un cappuccino dopo il pranzo (proprio da inglesi!), per poi tornare di nuovo all’Arena.
Ore 16. Bob è già arrivato per il sound check. A quanto pare scortato con una Jeep anch’essa nera e blindatissima. La sua presenza al piano si sente eccome su Early Roman Kings e Duquesne Whistle. La sensazione di star partecipando alle prove di Bob è incredibile, e vale più di ogni concerto visto. Poter ascoltare ogni dettaglio è incredibile, e lo è ancora di più poter ascoltare un pezzo sconosciuto, probabilmente inedito, tra la ballata e uno swing, magari appena partorito dall’inventiva geniale di His Bobness! Chissà se ci sarà mai occasione di riascoltarlo un giorno? È stato veramente piacevole! Poi subito dopo attacca una riarrangiatissima Pay In Blood e poi una delicata Simple Twist Of Fate. Infine una tostissima Highway 61 Revisited. Sembra pure sentire qualche parola ma in realtà è solo il “one, two, one, two” del tecnico del suono sul microfono di Dylan. Di lì a poco il silenzio totale. Poi niente, tutto fermo. Ma ecco che pochissimi istanti dopo vedo due bestioni. Uno è Barron, il truce mastino di Bob Dylan. Ci sono altri bodyguards. E poi eccoci. La sagoma è quella! Felpa verde con cappuccio, maniche arrocciate e t-shirt blu, orologio al polso, cappello da baseball, pantaloni scuri, scarpe di pelle e soprattutto gli inconfondibili RayBan a goccia. Nonostante gli occhiali scuri che indossa, come dice in Long And Wasted Years per coprire segreti che non riesce a nascondere, tutto il suo essere è lì mostrato. È proprio Bob Dylan in persona! Mentre sale le scale, nascosto dall’ammasso di muscoli dei suoi prodi scagnozzi che rendono impossibile anche un solo scatto, io corro nella sua direzione, verso l’ingresso del suo pullman. Ed eccolo che si sta dirigendo proprio verso di me. Il presente diventa una corsa contro il tempo. Tutto va a puttane. Me lo trovo davanti e guarda proprio nella mia direzione. Non c’è nessun altro. Sta guardando proprio verso di me, cazzo! È questione di solo pochissimi istanti, rarefatti, leggeri, sottili, sospesi nel tempo, nel tempo di un accenno, qualcosa come un “ti ho visto”, l’accenno a qualcosa di reale, concreto, tangibile, qualcosa che è accuduto veramente, qualcosa che ha unito per un istante due strade parallele, ma che un attimo si sono incontrare. La realtà così concreta, si vanifica, all’istante mentre Bob scompare nuovamente dalla vista per sparire dentro al suo pullman nero. Resta il silenzio che suona come un tuono nella mia mente, tra la magia attonita e l’incredulità di quello che è appena accaduto. Sembra di esser entrati in quell’universo eccezionale e sconfinato, dentro la saga di Ballad Of A Thin Man e di non poterne più uscire. Forse è solo un trucco. Cosa sta succedendo qua, Mr. Jones?
La smaterializzazione del tempo e dello spazio per un altro concerto del Never Ending Tour destinato all'eternità.
Grazie Bob, alla prossima!
Ore 14. Quattro sono i pullman neri parcheggiati fuori dell’Arena. Bob sarà già arrivato? Sembra di no! La band è già dentro all’Arena per un line check con quasi 30 gradi. Il boato di una strumentale Ballad Of A Thin Man infinita esce e disperde nella città di Romeo e Giuletta. Il tempo di mangiare una pizza e bere una birra tra Piazza Bra e Piazza delle Erbe, di beccare per un fugace incontro Toby Jones (anch’egli per il concerto) più grottesco che al cinema su Tale of Tales, mentre beve un cappuccino dopo il pranzo (proprio da inglesi!), per poi tornare di nuovo all’Arena.
Ore 16. Bob è già arrivato per il sound check. A quanto pare scortato con una Jeep anch’essa nera e blindatissima. La sua presenza al piano si sente eccome su Early Roman Kings e Duquesne Whistle. La sensazione di star partecipando alle prove di Bob è incredibile, e vale più di ogni concerto visto. Poter ascoltare ogni dettaglio è incredibile, e lo è ancora di più poter ascoltare un pezzo sconosciuto, probabilmente inedito, tra la ballata e uno swing, magari appena partorito dall’inventiva geniale di His Bobness! Chissà se ci sarà mai occasione di riascoltarlo un giorno? È stato veramente piacevole! Poi subito dopo attacca una riarrangiatissima Pay In Blood e poi una delicata Simple Twist Of Fate. Infine una tostissima Highway 61 Revisited. Sembra pure sentire qualche parola ma in realtà è solo il “one, two, one, two” del tecnico del suono sul microfono di Dylan. Di lì a poco il silenzio totale. Poi niente, tutto fermo. Ma ecco che pochissimi istanti dopo vedo due bestioni. Uno è Barron, il truce mastino di Bob Dylan. Ci sono altri bodyguards. E poi eccoci. La sagoma è quella! Felpa verde con cappuccio, maniche arrocciate e t-shirt blu, orologio al polso, cappello da baseball, pantaloni scuri, scarpe di pelle e soprattutto gli inconfondibili RayBan a goccia. Nonostante gli occhiali scuri che indossa, come dice in Long And Wasted Years per coprire segreti che non riesce a nascondere, tutto il suo essere è lì mostrato. È proprio Bob Dylan in persona! Mentre sale le scale, nascosto dall’ammasso di muscoli dei suoi prodi scagnozzi che rendono impossibile anche un solo scatto, io corro nella sua direzione, verso l’ingresso del suo pullman. Ed eccolo che si sta dirigendo proprio verso di me. Il presente diventa una corsa contro il tempo. Tutto va a puttane. Me lo trovo davanti e guarda proprio nella mia direzione. Non c’è nessun altro. Sta guardando proprio verso di me, cazzo! È questione di solo pochissimi istanti, rarefatti, leggeri, sottili, sospesi nel tempo, nel tempo di un accenno, qualcosa come un “ti ho visto”, l’accenno a qualcosa di reale, concreto, tangibile, qualcosa che è accuduto veramente, qualcosa che ha unito per un istante due strade parallele, ma che un attimo si sono incontrare. La realtà così concreta, si vanifica, all’istante mentre Bob scompare nuovamente dalla vista per sparire dentro al suo pullman nero. Resta il silenzio che suona come un tuono nella mia mente, tra la magia attonita e l’incredulità di quello che è appena accaduto. Sembra di esser entrati in quell’universo eccezionale e sconfinato, dentro la saga di Ballad Of A Thin Man e di non poterne più uscire. Forse è solo un trucco. Cosa sta succedendo qua, Mr. Jones?
Grazie Bob, alla prossima!